E’ passato un mese dalla fine della stagione regolare della serie A2 Tim ed in casa della Salento d’amare si prepara il terzo consecutivo campionato cadetto. Per gli atleti è tempo di riposo, meritato, dopo le fatiche del finale di stagione. Capitan Lavorato risponde ai nostri quesiti dalla sua Bergamo.
Una stagione travagliata: avete mai pensato di non farcela?
“Si, in effetti travagliata è la parola giusta. Non ho paura nel dire che è
stata una delle stagioni più difficili tra tutte quelle che ho disputato.
Fatta di alcuni bruttissimi momenti, come l’inizio del torneo quando abbiamo perso per cinque giornate Jeff o l’infortunio di Marcello Bruno a quattro giornate dalla fine. Poi sembrava che le cose potessero rimettersi per il verso giusto. Non è stato così. Il cambio di allenatore ha dato la scossa ad un gruppo in crisi di identità e finalmente abbiamo cominciato a giocare. Quando a due giornate dalla fine ho capito che la quota salvezza saliva a quarantuno punti mi sono chiesto cosa sarebbe potuto succedere. Avevamo trentacinque punti e dovevamo andare a Bergamo. Mi sono detto e l’ho detto anche alla squadra che nonostante tutti ci dessero per spacciati, avevamo il dovere morale di fare la partita della vita. Ci abbiamo provato, e alla fine forse anche con un pizzico di fortuna siamo riusciti a donarci una gioia immensa”.
Cos’è mancato a questa squadra per essere da play-off?
“Non mancava niente, ma partire con due punti nelle prime sette giornate
compromette molte cose. Il nostro ruolino di marcia dall’arrivo di Dagioni è
da prime cinque squadre quindi…Non che la colpa fosse solo di Cardona, ma questo sport è fatto di alchimie e probabilmente questo gruppo non era adatto a quel tecnico. Ci siamo dimostrati troppo deboli aratterialmente per superare il problema da soli. Questa è una delle macchie che mi porto dentro per quest’anno”.
Avete mai pensato di non farcela?
“Il quarto set di Bergamo stava per condannarci. La palla del 25-23 per
Bergamo siamo riusciti ad annullarla con un muro di Jeff Ptak, e considerando il tempo che ho speso parlando con lui di quel fondamentale sono felice che si sia preso una gioia così. Quel muro se lo ricorderà per tanto tempo e sarà uno di quei momenti che fanno crescere tecnicamente un giocatore. Poi il set è finito e, solo a partita conclusa, abbiamo saputo del risultato di Ancona che ancora ci dava speranza. Quindi abbiamo giocato senza sapere se eravamo già retrocessi. Abbiamo giocato alla cieca e questo mi da ancora più soddisfazione”.
Il prossimo anno potrebbe essere l’ultimo da atleta…
“Potrebbe, ma forse non lo sarà. Fisicamente sto benissimo e la mia determinazione è intatta. Mi diverto ancora molto e l’unica cosa che potrebbe farmi smettere è la mia famiglia. Ma se potessi scegliere porterei
tutti nel Salento, una terra meravigliosa che sento come casa”.
Cosa farai “da grande”?
“Alla fine della carriera non voglio staccarmi da questo mondo. E’ una vita
meravigliosa e c’è tanto da fare. Vedremo”.
Ti stai ritagliando un ruolo di paladino degli atleti: cosa si può fare x
migliorare questo mondo?
“Non voglio fare il paladino. E’ indubbio, però, che ci sono tantissime cose
che non vanno e la situazione dei giocatori si sta deteriorando. Non c’è tutela e il ruolo dei procuratori va rivisto. I ragazzi di questo sport sono una risorsa, non una merce. Questo punto va chiarito. Ne parleremo a tempo debito con i ragazzi che vorranno ascoltare. Tante cose bollono in pentola”.
Salento d’amare Taviano – Area Comunicazione
Umberto Morigine – 392.0089891