In ogni squadra che punta ad obiettivi ambiziosi in Serie A, c’è bisogno di una figura importante che si occupi di tutte le attività necessarie per portare gli atleti nelle migliori condizioni psico-fisiche, preparandoli al meglio e aiutandoli a gestire qualsiasi tipo di infortunio per ritrovare la miglior condizione nel più breve tempo possibile.
Per l’ottava stagione di fila, Luca Giglio sarà un punto di forza della Folgore Massa Sorrento. Fisioterapista e osteopata con una vasta esperienza nella terapia manuale, nelle manipolazioni vertebrali e nell’esercizio terapeutico, è specializzato anche nella risoluzione di problematiche riguardanti la colonna vertebrale.

 

Com’è nata la tua passione per la fisioterapia in ambito sportivo?

 

“Devo ammettere che il mio amore per la fisioterapia è proprio cresciuto di pari passo con lo sport. Quando ero piccolo giocavo a pallavolo, e fui costretto ad essere operato a una gamba. Son passato anch’io attraverso il percorso di riabilitazione per poter riprendere l’attività nel volley, ed il mio stesso cammino verso il recupero ha iniziato a entusiasmarmi. Essendo quindi stato uno sportivo, e rapportandomi in questo modo con allenatori, fisioterapisti e staff tecnici, ho iniziato ad osservare questo mondo sempre più da vicino. Anche se avevo appena 14 anni, la mia passione cresceva in maniera smisurata. Pian piano, tutti questi pensieri continuavano a ronzare insistentemente nella mia testa, ed appena possibile ho provato il test, e da lì è partito tutto”.

Sei ormai da tanti anni al seguito della Folgore. Che rapporto c’è con la società, e tra lo staff tecnico qual è la figura che più ti affianca?

 

“Dopo 8 anni con la Folgore, mi sembra davvero di essere in famiglia. Ho un ottimo rapporto con il presidente Ruggiero, il mister Esposito e tutti gli altri dirigenti che hanno sposato questi colori. In più, avendo giocato in passato per questa società, c’è un rapporto di amicizia che va al di là del semplice legame lavorativo. La figura con cui interagisco di più è sicuramente quella dell’allenatore: se c’è qualsiasi tipo di problema mi contatta immediatamente, ed io ho il compito di indicargli come gestire un eventuale infortunio. Se deve diminuire il carico di lavoro, se può reinserire l’atleta, se può giocare o meno, e come gestirlo dal punto di vista terapeutico. Un’altra figura di riferimento è senza ombra di dubbio quella del preparatore atletico, che sento in maniera costante. Mi ragguaglia sempre sul tipo di lavoro che i giocatori han svolto con lui, e quello che faranno con l’allenatore in palestra. Tutto questo è di fondamentale importanza, perché se un atleta inizia ad avvertire un fastidio, io so già che tipo di attività hanno portato avanti, se il volume di lavoro totale è stato troppo, se si deve calare da una parte ed inserire un esercizio terapeutico mirato dall’altro”.

 

Il pallavolista viene sottoposto ad un notevole stress fisico, anche perché spesso le partite si susseguono a distanze molto brevi. Come si lavora per limitare gli infortuni legati proprio allo stress?

 

“La cosa più importante è sicuramente monitorare continuamente i ragazzi. Appena sopraggiunge un accenno di dolore in una zona X del corpo, cerco di capire immediatamente come gestirlo, per arrivare al giorno della partita nella miglior condizione fisica possibile. Bisogna essere sempre attenti, perché tutto si evolve rapidamente. Ci sono periodi in cui i volumi di lavoro sono più alti, o il calendario ti presenta 3 partite in una settimana. Nel caso in cui dovessero manifestarsi accenni di tendinopatie, lombalgie, dolori alla spalla piuttosto che al tendine d’Achille o rotuleo, bisogna gestire in maniera appropriata il volume di lavoro nel corso della settimana. Sulla base dei sintomi e con l’aiuto di test specifici che svolgiamo, si valuta se e quanto ridurre l’attività di salto, i cambi di direzione durante il gioco, e magari aumentare l’attività con i pesi ed esercizi terapeutici specifici. L’occhio è sempre rivolto alla data segnata in rosso che è quella del giorno della partita, a cui si cerca sempre di arrivare nel modo migliore. Ovviamente il discorso cambia per gli eventi traumatici, che nella maggior parte dei casi sono fortuiti”.

 

Qual è l’attività che svolgi maggiormente con i pallavolisti?

 

“Sicuramente quella post-allenamento, quando si presenta qualche piccolo fastidio durante la sessione di lavoro, e nell’immediato lavoro molto con la terapia manuale. Nella maggior parte dei casi si tratta di traumi da overuse. Più semplicemente, gli atleti si allenano molto durante la giornata, lo stress articolare, tendineo e muscolare tende inevitabilmente ad aumentare, ed il mio lavoro principale è proprio quello di gestire la tipologia di attività. Poi, insieme agli altri ragazzi, abbiniamo un esercizio terapeutico specifico alla terapia strumentale che facciamo in studio, per accelerare quanto più possibile i tempi di recupero. Va poi di pari passo la gestione di tutte le situazioni durante la settimana, sempre con l’obiettivo di arrivare pronti quando ci sono i punti pesanti in palio”.  

 

La tua figura professionale è riconosciuta sia dalla squadra che dallo staff tecnico. Ti capita di sentire il peso della responsabilità prima di una partita, e come gestisci la pressione?

 

“È normale che, avendo la responsabilità di una squadra che disputa la Serie A, devo prestare massima attenzione ad ogni dettaglio. Io segnalo se un atleta può giocare o meno, e quando si tratta di un atleta di punta va ponderato tutto con estrema prudenza. In ogni caso, sulla base del mio percorso di studi e dei continui aggiornamenti, e sapendo come gestire un infortunio di tipo traumatico o microtraumatico ripetuto nel tempo, posso essere più che tranquillo. Anche grazie all’aiuto ed al supporto di professionisti validi ed affermati che mi affiancano nel lavoro quotidiano”.