Ecco il racconto dell’ex palleggiatore giallorosso, ospite del nostro format #tonnocallipoHistory, da cui emerge un forte senso di attaccamento alla città che lo accolse per due anni: “Con mia moglie Paola abbiamo deciso di far nascere nostro figlio Francesco a Vibo perché la sentivamo casa nostra“.

 Accade spesso nella vita che quando si intraprende una nuova strada bisogna essere disposti a correre qualche rischio. Qualche volta capita anche che, a conti fatti, si potrà dire: ne è valsa veramente la pena. La storia che ancora oggi, a distanza di diciassette anni, lega a doppio filo l’ex palleggiatore giallorosso Michele De Giorgi alla Tonno Callipo potrebbe essere sintetizzata proprio così. Fu, difatti, una scelta coraggiosa quella dell’atleta pugliese classe ’68, che, quando nell’estate del 2003 – fresco della promozione in A1 con Piacenza – ricevette la chiamata dal club calabrese, non si fece condizionare negativamente né dal fatto che si trattava di una società poco conosciuta che militava solo da due anni in A2 né dai conclamati pregiudizi sulla Calabria. A guidarlo per approdare a Vibo fu solo il suo istinto a cui si aggiunse l’incoraggiamento determinante da parte dalla moglie Paola: “La conferma che non avevo sbagliato ad accettare la proposta arrivò presto. Sia l’impegno e la premura da parte della società per la mia nuova sistemazione in città sia il calore e l’accoglienza dei tifosi già durante la conferenza stampa di presentazione mi trasmisero sensazioni molto positive. Adesso che è passato tanto tempo posso dire che quella è stata una delle esperienze più belle. Sono stati due anni fantastici”.

Passando alle cronache sportive, quelle furono due annate di grandi soddisfazioni: la storica promozione in A1 e poi l’anno d’esordio nella massima serie terminato con un buon settimo posto in classifica e una finale di Coppa Italia persa, senza sfigurare, contro la corazzata Treviso. Qual è stato l’ingrediente segreto?

Ne abbiamo passate tante in quegli anni: ricordo i lavori del primo anno nel vecchio palazzetto per ampliarlo in vista dei play off. Ci allenammo per due mesi con questi lavori in corso. Mi viene da pensare anche alle partite casalinghe giocate a Catanzaro nel secondo anno. In una prima riunione il presidente Pippo Callipo ci fece subito capire quale era il nostro ruolo lì. Il suo messaggio fu un richiamo alla responsabilità che ci veniva affidata indossando una maglia con il nome di un’azienda storica e prestigiosa. Bastarono le sue parole per capire che a Vibo gli obiettivi non erano solo legati alla pallavolo. Quella era una città che voleva riscattarsi ed emergere e noi giocatori eravamo lo strumento per riuscire nell’intento”.

Che cosa ricordi di quel gruppo?

“Ho tutto impresso nella mente. Provo una sensazione strana, quasi inspiegabile, ogni volta che mi immergo nei ricordi di quei tempi. Mi sembra ieri eppure sono passati tanti anni. L’anno dell’A2 si era formato un gruppo incredibile, sono quelle alchimie che nascono naturalmente. Non c’era nulla di forzato. Abbiamo legato pur avendo tutti un proprio modo di essere. Ricordo Totò Ferraro, Belardi, Axè, Spada, Carizia un vero uomo-spogliatoio, Kirchhein, Cicola che era la testa calda del gruppo. Tutti giocatori che poi ho più o meno incontrato anche da avversario. Con Tomasello abbiamo anche giocato insieme dopo la parentesi di Vibo”.

Ti trovavi bene con i due brasiliani Axè e Kirchhein?

“Molto. Loro erano le nostre punte di diamante: Kirchhein era molto pacato e introverso mentre Axè una forza della natura. I brasiliani sono giocatori particolari, se non si trovano bene nell’ambiente non riescono a dare il massimo. A Vibo si erano ambientati e in campo davano dimostrazione di essere dei veri campioni al punto che tutta la squadra sapeva che dovevamo giocare anche per loro”.

Hai evidenziato come dalle difficoltà avete tratto forza e motivo di unione. Le difficoltà legate al palazzetto nella stagione 2004-2005 sono molto simili a quelle che hanno condizionato l’andamento dell’ultimo Campionato con il trasferimento a Reggio Calabria. Cosa ne pensi?

“Molti di noi giocatori non erano abituati ai continui spostamenti ma abbiamo trovato una società che ci ha supportato in tutto. Allora le trasferte erano molto pesanti e quindi avere anche le partite casalinghe fuori città era una difficoltà

Michele De Giorgi durante la finale di Coppa Italia a Forlì contro Treviso (27 febbraio 2005)

in più. Credo comunque che non aiuta una situazione simile a quella vissuta dalla Callipo l’anno scorso perché un giocatore avverte la mancanza di non giocare nel suo palazzetto, di non avere la sua palestra, i tifosi che si avvicinano per un saluto dopo l’allenamento. Per cui penso che alla classifica manca sicuramente qualche punto determinato dal fatto di aver giocato fuori. A noi ha aiutato molto sapere che saremmo ritornati a Vibo, come poi è successo per le ultime 6-7 gare. Inoltre essendo il primo anno di A1 c’era molto entusiasmo e il PalaCorvo era sempre pieno perché venivano da tutta la Calabria a vedere le partite.  Eravamo una buonissima squadra: c’era Batez, Rosalba, Pampel, Priddy, insomma dodici giocatori forti”.

Cosa ricordi di quando mister Ricci ad inizio quinto set della finale con Bolzano vi ha portato nello spogliatoio?

“Che episodio quello! In tutta la mia carriera non mi è mai più successo e non sapevamo nemmeno che si potesse fare. Ricordo che sul 2-0 per loro, durante un time-out dopo un 11-7 c’era un silenzio incredibile. Noi ci guardavamo come a dire ‘che stiamo combinando dopo tutti i sacrifici di un anno?’. Nello spogliatoio dopo il 2-2 ci furono pochissime parole e quei minuti ci servirono solo per guardaci in faccia e per ripeterci che non potevamo proprio mollare. Per la città, per noi, perché non poteva finire così”.

Il legame con la città?

Sia io che mia moglie ci siamo sentiti a casa al punto che nel 2005 abbiamo deciso di far nascere a Vibo il nostro terzo figlio, Francesco. Nacque il 30 gennaio e dopo circa venti giorni lo portammo al palazzetto e il presidente gli dedicò un benvenuto speciale: lo prese in braccio e lo portò in mezzo al campo per farlo salutare da tutti.

Conservo ancora uno stralcio di un giornale locale che pubblicò un articolo per raccontare quei momenti. Facevamo parte della grande famiglia Callipo. Il mio legame con Vibo non potrà spezzarsi mai. Lì ho ancora tanti amici”.

 

UFFICIO COMUNICAZIONE

Rosita Mercatante

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