Il noto dj padovano è tornato in veste di speaker alla Kioene Arena dopo l’avventura a Gran Canaria e la sua personale vittoria contro un tumore. «Se si parlasse di cancro come di Covid, sarebbe più facile relazionarsi coi malati». La sua playlist: «ai giocatori della Kioene Padova dedicherei Jump dei Van Halen. Il volley esalta all’ennesima potenza il concetto di lavoro di squadra»

 

Sportivo, istruttore subacqueo ma noto al pubblico soprattutto per essere uno dei dj e delle voci radiofoniche più familiari di Padova. Dopo 6 anni lontano dai campi di volley, Stefano Ferrari è tornato a fare lo speaker per la Kioene in un anno di sicuro “complicato”. Se è vero che il Covid-19 ha stravolto il modo di vivere le giornate di ognuno di noi, la storia di Stefano sembra davvero il copione di un film, intriso di colpi di scena e di battaglie. Una su tutte: quella personale vinta contro il cancro. Mai come in questo periodo, servono esempi di resilienza e voglia di non mollare.
«Sono un allegro ragazzotto classe 1975 – dice Stefano – appassionato di fitness e alimentazione, che ha cominciato a fare il dj e lo speaker radiofonico nel 1994. La passione è diventata un lavoro nel 1997, anno in cui ho girato parecchio per poi accasarmi l’anno successivo a Radio Company a Padova. Di lì a poco ho cominciato a fare anche lo speaker pubblicitario. Come istruttore subacqueo, invece, mi sono concesso due anni sabbatici in cui ho mollato tutto e mi sono trasferito a Gran Canaria, dove sono stato nel 2016 e 2017. Poi ho risposto al richiamo del mio primo Amore, la Radio, tornando quindi a fare esattamente quello che facevo prima».
Per te quello dello speaker alla Kioene Arena è un ritorno. Com’è stato il tuo arrivo alla Kioene Padova e come stai vivendo questo anno “socialmente” molto diverso dagli altri?
«Le stagioni 2011-2014 sono state davvero esaltanti, fra retrocessioni e promozioni come sulle montagne russe. Ho imparato questo nuovo lavoro grazie ad Andrea Meoni, sicuramente il migliore all’epoca. Tornare è stato come non essere mai andato via, probabilmente perché molte delle persone che ho conosciuto nel mio primo periodo sono rimaste. Fare lo speaker in un palazzetto semideserto, o come ora totalmente vuoto è molto complicato, però è altrettanto vero che si migliora professionalmente affrontando situazioni difficili. Spero che molto presto si possa tornare ad avere il pubblico alla Kioene Arena, farebbe bene a me e soprattutto alla squadra».
Il Covid-19 ha cambiato modo di fare sport e di fruirlo. E’ accaduto anche per la radio oppure no?
«Sono cambiate le modalità di fruizione e gli orari. Chi lavora a casa in smart working ci ascolta online dal pc su cui sta lavorando oppure ci guarda sulla Company TV, mentre è diminuito molto il cosiddetto “drive time” della sera dopo le 18.00, esattamente l’orario in cui comincio la diretta. Fortunato, no?».
Che differenza c’è tra fare lo speaker radiofonico e quello dello sport?
«Fare lo speaker in radio ti dà la possibilità di rilassarti e prepararti nei “tempi morti”, cioè durante le canzoni o la pubblicità. Hai dunque tutto il tempo di prepararti gli interventi e ripassare mentalmente quello che devi dire. Sei comunque libero nei contenuti, puoi spaziare e dare un’impronta personale al tuo programma. Alla Kioene Arena, invece, devi essere sempre concentrato, guardare quello che succede in campo e contemporaneamente preparare la musica o l’effetto da mettere al momento giusto. Anche in questo caso c’è della preparazione, come gli “accompagnamenti sonori” che ho ideato e realizzato in studio di registrazione per le richieste di videocheck. Devi anche conoscere le regole del gioco, altrimenti la brutta figura è dietro l’angolo».
Hai mai giocato a pallavolo e cosa ti piace di questa disciplina?
«Ho giocato per sette anni a volley, fra i 13 e i 20 anni. Erano i tempi del cambio palla e dei sei giocatori fissi, la preistoria! Mi piace che il volley innalzi all’ennesima potenza il concetto di lavoro di squadra: puoi giocare la palla una volta, poi tocca ad un tuo compagno. Mettere palla a terra dopo un’azione ragionata è una libidine che non si può spiegare, e il massimo è condividerla con tutti gli altri».
Che affinità trovi tra il tuo lavoro e il volley?
«Fare lo speaker radiofonico significa mettere la ciliegina su una torta preparata da un programmatore musicale, da un tecnico che mette a punto montaggi e palinsesto, da una redazione che ti suggerisce i contenuti. Esattamente come uno schiacciatore finalizza il lavoro fatto dallo staff tecnico durante la settimana, e quello di chi difende, riceve, palleggia in partita».
Fai una playlist con tre canzoni che dedicheresti: una alla squadra; una allo staff; una ai tifosi.
«Da rockettaro incallito, non potevo che pensare che a tre canzoni piene di chitarre. Alla squadra dedicherei “Jump” dei Van Halen, allo staff “Know your enemy” dei Green Day, mentre per quanto riguarda il pubblico la scelta è obbligatoria per questioni coreografiche: “We will rock you” dei Queen, un classico per vedere tutte le mani battere all’unisono a palazzo».


Tra le tante battaglie che hai dovuto combattere c’è anche quella contro la malattia, ma che con grande forza hai vinto. Ci spieghi brevemente cosa è accaduto?
«A novembre del 2019 mi è stato diagnosticato un linfoma di Hodgkin, terzo stadio: è un tumore che colpisce i linfonodi e di cui non si conosce la causa. Lo stesso di Francesca Schiavone, della sua collega Carla Suarez Navarro, Jeff Bridges, Nanni Moretti, Joey Ramone. Dopo 5 mesi di chemioterapia ed uno di radioterapia abbiamo vinto, soprattutto grazie al grande lavoro dell’equipe dello IOV di Padova che mi ha seguito».
Secondo te perché tra le persone c’è spesso una sorta di “omertà” nel non voler raccontare anche ciò che di negativo è accaduto?
«Sinceramente non lo capisco: penso sia semplicemente paura, dovuta al fatto che la sensibilizzazione e la divulgazione non siano recepite per quello che effettivamente sono. Le persone hanno il timore di nominare il cancro. Se fosse al centro delle conversazioni social di questi tempi come lo è il Covid, relazionarsi con persone affette da tumore sarebbe davvero più semplice».
Lo Stefano Ferrari di oggi è cambiato rispetto al passato e cosa può dire a tutti coloro che hanno affrontato o stanno affrontando ciò che hai vissuto tu?
«Sostanzialmente è cambiata la percezione di tutto quello che mi circonda: alcune cose che in passato mi mettevano ansia o mi facevano arrabbiare ora sono decisamente passate in secondo piano, mentre ho cominciato a dare importanza a tutto quello che può rendere migliore la mia vita e quella di chi mi circonda. Le mie priorità ora sono diverse. A tutti quelli che si trovano a contatto con il cancro voglio dire di lottare con tutte le forze, di usare ciò che di più potente abbiamo a disposizione: il cervello!».

 

Alberto Sanavia
Ufficio stampa Kioene Padova
www.pallavolopadova.com