In principio era il “golden boy”, nome coniato dai suoi primi tifosi a Terlizzi. Oggi, a 27 anni, Francesco Del Vecchio è semplicemente il capitano. Idolo dei tifosi molfettesi, protagonista della scalata dalla B1 alla A1. Ragazzo di provincia e di talento, poi diventato grande a due passi da casa, fino a essere nominato Mvp nella partita probabilmente più bella, finora, della storia dell’Exprivia Neldiritto Molfetta.
Partiamo da qui, dalla vittoria contro Macerata, e da quella standing ovation da batticuore.
Ho provato un mix di emozioni. Nello stesso momento in cuii tifosi mi hanno applaudito, peraltro ho saputo della morte di mio zio. Non ci ho capito molto. Semplicemente sono scoppiato a piangere. Tuttora faccio fatica a descrivere quegli istanti.
Questo è il “tuo” momento. Come lo vivi?
È un momento meraviglioso, sta succedendo tutto all’improvviso, ci sono molte attenzioni a livello mediatico ma cerco di viverle in modo normale. Certamente è giusto godersi il momento, ma nella convinzione che bisogna continuare così per restare ad alti livelli.
I complimenti più belli dopo la partita contro Macerata?
Tra i tanti, mi sono rimasti impressi quelli del mio ex allenatore Juan ManuelCichello,che mi ha inviato un sms dicendomi che lo merito, come giocatore, ma soprattutto come persona, e di Nicola Nuzzi, selezionatore delle provinciali quando giocavo a Terlizzi. Fu lui a farmi cambiare ruolo, da centrale e schiacciatore.
Terlizzi, tua città di nascita. Facciamo un passo indietro, allora. Quando e come ti innamori del volley?
Iniziai alle scuole medie per puro divertimento, disputando i campionati scolastici. All’epoca praticavo anche calcio in una squadra del mio paese. Giocavo da esterno alto a sinistra, ma soprattutto ero il più alto dei miei compagni. Parallelamente tentai la via del volley nel settore giovanile del Terlizzi. Era il 2000. Poco dopo fui chiamato nella prima squadra, che allora disputava il campionato di serie C.
Chi furono i tuoi primi allenatori?
Il mio primo allenatore è stato Dino Fiorella. Mimmo Carbonara puntò su di me nel primo anno di B2. Poi arrivò Gino Spaccavento, con cui conquistai la B1. E in B1 ho conosciuto anche Lorenzoni che, da allenatore/giocatore, mi diede una grossa mano.
Ti aspettavi, in quei primi anni, che sarebbe stato possibile sfondare nel volley?
Giocavo per divertimento, non ero cosciente di quel che accadeva. Ero ragazzo e mentre crescevo iniziarono a darmi grandi responsabilità. Poi disputai a Gioia del Colle il mio primo campionato di A2 e capii davvero che avrei potuto giocare a buoni livelli.
Immaginiamo che per la tua crescita ci siano state delle persone-chiave.
Penso a Gino Spaccavento e Alessandro Lorenzoni. E non posso dimenticare l’importanza che ha avuto Cichello. E qui non parlo solo del mio percorso di crescita, ma anche di quello di tutta la Pallavolo Molfetta.
Ora il tuo allenatore è Vincenzo Di Pinto, che ha allenato moltissimi campioni nella sua carriera.
Un maestro per la cura dei dettagli, specialmente dal punto di vista tecnico. Ci fa capire ogni giorno che non si può pensare di aver raggiunto la perfezione. Bisogna sempre migliorare, migliorare e migliorare.
Cinque stagioni a Molfetta. Ormai sei di casa.
La società è parte di me, una vera e proprio famiglia. Alla mia prima stagione a Molfetta, dopo la parentesi a Gioia, capii subito di aver trovato una società organizzata, con idee chiare e obiettivi ambiziosi. Hanno dimostrato di essere grandi dirigenti sia sotto il profilo della gestione economica del club, sia sotto quello della progettualità.
In società c’è un altro terlizzese doc, uno che conosci bene e con cui hai condiviso totalmente la carriera.
Con Ninni (De Nicolo, ds dell’Exprivia Neldiritto, ndr) mi lega un rapporto sicuramente speciale. Siamo concittadini, mi ha visto crescere nel Terlizzi, poi è stato importante per il mio arrivo a Molfetta.
C’è un giocatore a cui ti sei ispirato e ti ispiri?
Samuele Papi.Ho la fortuna di averlo conosciuto, grazie all’intermediazione di Christian Casoli. È il mio idolo assoluto, non a caso ho il suo numero di maglia. Ho anche la sua maglia, a dire il vero, e la conservo gelosamente nella mia camera.È stato indimenticabile quando quest’anno, a Piacenza, durante il riscaldamento, mi ha visto, mi è venuto incontro e mi ha salutato. Mi stavo letteralmente sciogliendo.
Le partite che ti porti dentro?
Ovviamente quella contro Macerata, ma non possono dimenticare il match contro Padova, che valse la promozione in A1. Ricordo anche Nicosia-Terlizzi: fu il match che sancì la vittoria del campionato di B1 con il Terlizzi. Infine il 3-0 contro Castellana in A2. Castellana peraltro allenato da Di Pinto.
Spesso, in questi anni, non sei partito titolare. Ma ogni qualvolta sei stato chiamato in causa, hai dato un grande contributo. Cosa insegna la tua storia?
Insegna che bisogna sempre farsi trovare pronti quando si viene chiamati in causa, che lamentarsi è inutile. Le cose bisogna conquistarsele con il lavoro e con poche parole. Anzi, lamentarsi a volte è solo un modo controproducente di reagire.
Quali obiettivi hanno Francesco Del Vecchio e la sua squadra?
Dobbiamo fare più punti possibili con le nostre dirette avversarie e pensare partita dopo partita, consapevoli che siamo in grado di mettere in difficoltà qualunque tipo di avversario. Per quanto riguarda me, voglio continuare così e non pormi troppi obiettivi, confermarmi ad alti livelli e dare sempre il massimo.
Oggi che non sei più “golden boy” ma splendida realtà, chi vuoi ringraziare?
La mia famiglia, per i sacrifici che ha fatto e che fa, e Savina, la mia ragazza, pallavolista come me peraltro. Fondamentale nel mio percorso di crescita, mi ha sempre sostenuto, anche durante i momenti di difficoltà.
Hai qualche rimpianto?
Non aver disputato la serie A2 con il Terlizzi, la squadra della mia città. Ottenemmo una promozione che ancora tutti ricordano, fu un periodo d’oro ma non riuscimmo a iscriverci al campionato. Sarebbe stato stupendo per tutta la città.
Foto di Vitantonio Fascilla
Ufficio Stampa Exprivia Neldiritto Molfetta