Il tattico, cuore argentino e sagacia italiana
E’ in panchina il primo argentino della storia dell’Olimpia…
Sono nato a Martin Coronado, un paese a pochi chilometri dalla capitale Buenos Aires. All’età di 3 anni però i miei genitori si sono trasferiti in Italia, a Carpanè di San Nazario, vicino a Bassano del Grappa, per motivi lavorativi, insieme ai nonni materni e agli zii. Io comunque sono rimasto in zona e, appena gli impegni lo consentono, torno nel paese in cui risiedo ovvero Rossano Veneto.
Quali le mansioni del secondo allenatore?
Sono al quinto anno di A2 in questo ruolo, l’assistente del coach. Graziosi mi definisce “il tattico” perché principalmente mi occupo del match analysis vale a dire trovare pregi e difetti delle squadre che andremo ad affrontare ed insieme insieme decidere la strategia migliore da adottare. Ovviamente questo lavoro viene fatto sia sugli avversari che su noi stessi, per capire cosa e dove dobbiamo migliorare. Il cosiddetto “video” viene visionato due volte a settimana, circostanze in cui mostriamo tutti i fondamentali degli avversari con le loro particolarità, specialmente lo studio del palleggiatore avversario che resta l’aspetto clou. Questi “match analysis” mi sono possibili anche grazie al nostro scoutman Federico Bigoni, che nel corso della settimana visiona in prima persona alcune delle nostre antagoniste rilevando, contestualmente, i loro fondamentali.
Durante i nostri incontri invece tengo sotto controllo tutti i dati che mi arrivano proprio da Federico, per controllare se le scelte operate nelle varie situazioni di gioco vengono rispettate o se si rende necessaria qualche variazione.
E in palestra?
Mi occupo soprattutto di gestire la “squadra B” nelle situazioni di gioco, per far simulare in linea di massima quello degli avversari, o quando eseguiamo allenamenti di tecnica di dare consigli ai giocatori.
Quanto conta per un giovane come te poter lavorare con un coach come Graziosi?
Il legame con Gianluca è indissolubile e dura ininterrottamente da 5 anni e per questo devo ringraziare il Volley Potentino per avermi permesso di rimanere insieme a lui nella prima stagione di A2. Alla base una fiducia e una stima reciproca assoluta, ci sono state volte che ci siamo scontrati – sempre in modo costruttivo – su alcune scelte anche se poi chi ha l’ultima parola, in virtù della naturale scala gerarchica, è sempre lui. Stare al suo fianco per me equivale ad una crescita continua e averlo incontrato è stata una fortuna non da poco: poter lavorare con un tecnico di questo calibro, che a livello giovanile ha vinto tutto, non è un privilegio di molti. Ma la sua miglior dote – oltre ad essere un gran lavoratore in palestra dal punto di vista tecnico e tattico – è il tipo di rapporto che sa creare con le persone visto che ha una capacità rara di capire i giocatori, leggerne lo stato d’animo e stimolarli al massimo. Così non appena mi ha proposto il trasferimento a Bergamo – una volta approfondito il progetto dell’Olimpia – ho accettato senza esitare.
E prima dell’incontro con il tecnico?
La mia vita da allenatore – ed ero ancora giocatore – inizia a 17 anni nel Bassano Volley dove l’allenatore dell’U18 Mauro Marchetti mi chiede prima di supportarlo nel settore giovanile e, due anni più tardi, di raggiungerlo a Monza nel Consorzio Vero Volley. Sono rimasto in Brianza un altro biennio lavorando sempre sui vivai e poi quando Marchetti è approdato – nel 2011, in B1 – al Volley Potentino, io ho fatto lo stesso percorso: una promozione in A2 e poi altri quattro anni. Ed è proprio in quel club che ho incontrato Graziosi.
In estate invece…
La mia attività cambia ed esce dalla palestra. Perché appena finisce la stagione pallavolistica, da più di dieci anni, aiuto alcuni amici di famiglia nella gestione di una gelateria nel paese di Rosà. Il punto di forza? La varietà di gusti, sono oltre cinquanta.