E’ arrivato lo scorso anno a Sora, quasi in punta di piedi, per poi diventare presto l’idolo dei ragazzini nelle scuole e il preferito di molti sugli spalti: Federico Marrazzo, il palleggiatore romano oramai noto per il servizio insidioso e, perlomeno nella passata stagione, per il codino che imperversava negli istituti del comprensorio e che quest’anno ha lasciato il posto ad un taglio più spettinato. Marrazzo è giovanissimo – classe 94 – e ha mosso i primi passi nella pallavolo che conta proprio qui in terra volsca, dopo le giovanili fatte a Ostia e la B2 a Roma. Al suo primo anno in SuperLega, con la divisa bianconera della Biosì Indexa Sora, ora tocca al regista spiegarci chi è Federico.
Raccontaci in poche parole chi è Federico Marrazzo.
“Federico Marrazzo è un ventiduenne socievole, che ama molto parlare con gli altri, farsi nuovi amici. Arriva dalla con il sogno di continuare a fare della pallavolo la sua professione e con la passione per la “magica” – la squadra di calcio della A. S. Roma – e per Totti!”.
E’ il tuo secondo anno qui a Sora, come ti trovi?
“Assolutamente bene, sia dal punto di vista lavorativo che per l’ambiente che viviamo anche al di fuori del palazzetto. Dallo scorso anno abbiamo fatto un bel salto di qualità che ha investito tutti e, personalmente, mi sento molto maturato, sia dal punto di vista tecnico, sul gioco, che caratterialmente”.
Come ti sei avvicinato alla pallavolo?
“Mi sono avvicinato al volley un po’ per caso, in realtà. Giocavo a calcio, all’epoca, anche se ho praticato vari sport: ad esempio, all’età di 6 anni mia madre mi costrinse a fare nuoto, un po’ come funziona per tutti i bambini; poi è arrivato il karate e quindi il calcio, di cui ero innamorato. Il mio ruolo era quello del portiere, essendo già molto alto; ebbi però un problema alla schiena e dovetti mollare. L’ortopedico mi diede due opzioni per continuare a fare sport, o il basket o la pallavolo. La pallacanestro mi piace molto, ma quella oltreoceano, e così privilegiai il volley: sono però molto felice della mia scelta, perché è diventata la mia vita, sebbene all’inizio ebbi qualche drammatico dubbio sulla mia identità in campo. Tutti volevano che facessi il palleggiatore, ma come ogni ragazzino, io volevo schiacciare, attaccare, però i miei allenatori sono stati bravi a farmi perseguire la strada giusta”.
Qual è stato il coach da cui hai più appreso durante questi anni?
“Dai miei allenatori ho sempre imparato qualcosa di importante; sicuramente ai due coach delle giovanili devo molto: a Lorenzo Di Bello di avermi introdotto in questo mondo all’età di 14 anni e poi a Massimiliano Giordani, della selezione regionale, che mi rimarrà sempre nel cuore. Un ringraziamento, però, ci tengo a farlo anche a Fabio Soli e Bruno Bagnoli che mi hanno fatto maturare tanto”.
Qual è il compagno che ti è stato più da esempio?
“Certamente un mio collega della B2, sebbene fosse per me un esempio dal punto di vista caratteriale e non tecnico. Quando c’era un problema in campo era sempre lui a risolverlo; aveva una personalità molto carismatica e mi piace definirlo una “persona con gli attributi””.
Racconta il ricordo più bello legato al volley.
“La pallavolo mi ha regalato sempre bei momenti, ma quelli che ricordo con più emozione sono tre: il primo trofeo provinciale che ho vinto da piccolino con la società Roma 12, grazie alla nostra under 14; sicuramente la selezione regionale e poi, in ultimo, la soddisfazione più grande e ossia la promozione in massima serie”.
Come si svolge la routine di un professionista?
“La nostra è una quotidianità difficile, forse a tratti noiosa quando si è molto giovani, perché la vita sociale ne risente un pochino: magari, da ragazzini, non si sopporta bene il fatto di non poter uscire il sabato perché la domenica si gioca, ma crescendo si imparano altri valori più importanti. Lo spirito di sacrificio, la voglia di mettersi in gioco, di mettersi alla prova, il bisogno di lavorare sodo per poter proseguire nel percorso professionale e raggiungere un obiettivo: tutti valori che si riscontrano non solo nella vita di un atleta, ma che sono fondanti per la routine di ciascuno di noi. Qualche rinuncia va fatta anche a tavola: io, personalmente, seguo una dieta adatta al mio dispendio energetico, ma una tantum anche noi professionisti possiamo concederci uno sgarro! Le nostre giornate sono molto piene, alcune prevedono doppie sedute di allenamento, abbiamo impegni extrasportivi da portare avanti, ma tutto contribuisce alla crescita esponenziale delle nostre personalità, fuori e dentro il rettangolo di gioco”.
Cosa fai nel tempo libero?
“Sono un malato di serie tv, quando ne inizio una devo finirne la visione nel giro di pochissimo tempo, per cui resto attaccato al computer o al televisore, e il mio compagno di stanza Lucarelli lo può confermare. La mia serie preferita è Weeds, poi mi è piaciuta molto anche Prison Break e adesso sto riguardando un evergreen che è How met your mother. Nel tempo libero, inoltre, cerco di informarmi molto, a iniziare dall’ambito sportivo per poi allargare i miei interessi in altri campi. Ultimamente, poi, ho messo su un orticello sul mio balcone, a cui mi dedico particolarmente: mi appassiona e mi rilassa”.
Hai un soprannome?
“Qui a Sora mi hanno soprannominato Chicco, anche se contro la mia volontà, nomignolo che mi ha attribuito lo speaker Pietro Di Alessandri. In squadra, invece, mi chiamano “botulino” per via delle labbra carnose che ricordano i canotti al silicone!”
Un pregio e un difetto di Federico.
“Un mio difetto è la testardaggine, mentre un pregio è l’essere molto bravo in cucina!”
Sogno nel cassetto.
“Assolutamente le olimpiadi”.
Cristina Lucarelli